Il Liocorno di LascauxIl liocorno di Lescaux L’instabilità degli oggetti A Cura di Pietro Gaglianò “Ogni opera d’arte potrebbe essere definita Nicolas Bourriaud, 1998
Come aveva dimostrato Walter Benjamin ne L’opera d’arte al tempo della sua riproducibilità tecnica, la rivoluzione industriale (e la una nuova generazione di segni e di oggetti che ne scaturisce) sottomette la produzione alla riproduzione e questo modifica il rapporto della masse con la realtà in ogni campo ma soprattutto con l’arte, dove l’autenticità costituisce più che altrove un punto di vulnerabilità. Alcuni decenni più tardi Jean Baudrillard individua nel passaggio dalla produzione alla riproduzione il passaggio a “un’era di minore levatura” (Lo scambio simbolico e la morte, 1976), il crogiuolo per quel primato della simulazione che domina il mondo contemporaneo e che si realizza con la rarefazione digitale del mondo. Attraverso queste trasformazioni (dall’auratico al riproducibile, dal tangibile al digitale) la sicurezza conferita dal possesso degli oggetti (o dalla loro dimensione iconica, il marchio, la griffe, la certificazione, sia pure immateriale, di proprietà) diventa fragile, abbassando la capacità critica di chi li possiede. Nel romanzo di A.M. Homes cui si ispira il tutolo di questa mostra (The Safety of the Objects, 1990), gli oggetti tra le mani e nelle vite dei personaggi sono i destinatari di una proiezione che ingannevolmente completa gli individui e le loro vicende. Attorno alla loro superficie e sulla loro forma sempre facilmente riconoscibile si consumano i drammi personali, si incontrano le infelicità, si progetta una possibile felicità. Ben lontani dal fornire la realizzazione delle vicende private, o un piano per la comprensione dell’esistenza, gli oggetti sono feticci inanimati e sovraccarichi, terminali di un aspirazione frustrata al momento del suo soddisfacimento. Così l’oggetto (o l’imposizione della sua presenza materiale o immateriale nell’orizzonte del quotidiano) ha la funzione di un potente sedativo del desiderio, ingabbiandolo in un circuito cieco e improduttivo che esclude la relazione con l’altro. L’arte, al contrario, aprendosi alla differenza e negando il piacere immediato dell’identificazione e della pulsione al possesso (si potrebbe chiamarla, questa pulsione, un desiderio a breve termine), crea attorno agli oggetti e alla loro semplice riconoscibilità una condizione di instabilità. Su questo piano delle certezze perdute diventa possibile una nuova articolazione del discorso, e quindi un desiderio (a lungo termine) di conoscenza, tra le persone così come tra le persone e le cose. L’instabilità degli oggetti è un percorso in cui le forme, le immagini e i segni forniscono un’interpretazione non rettilinea. Le opere creano altrettante strutture narrative in cui non domina la verticalità, e l’evoluzione del pensiero si riferisce a leggi diverse da quelle che strutturano il sapere. Il lavoro degli artisti coltiva questa mancata identificazione tra forma e funzione, tra possesso e determinatezza, e in tal modo innesca una crisi in cui ogni certezza si trasforma in interrogativo.
Bruno Baltzer e Leonora Bisagno propongono un ciclo alla distanza e alla variazione di scala: in particolare, l’osservazione di particelle di acqua benedetta fotografate al microscopio rivela l’insensatezza di qualcosa che pesa più di tutte le cose e ne modella la forma: la fede, qui ridotta a segni e tracce, impronte della vita e dei suoi residui. Luca Capuano osserva la fenomenologia degli oggetti (estendendo il termine fino a comprendere lo spazio architettonico e le relazioni tra i volumi) e la loro “messa in scena”. Operando una archiviazione atipica, con l’impiego di innesti e contraffazioni, l’artista procede a un’analisi della loro esteriorità: una dissezione del lessico consueto e degli imperativi del visibile. Le tracce delle cose (come una reminiscenza del loro passaggio) nelle foto di Daniele D’acquisto sono altrettanti sintomi dei legami fitti con cui gli oggetti descrivono la vita che intrecciamo con loro. Coerentemente con l’estetica delle sue installazioni D’Acquisto lavora su una dimensione flessibile della memoria, anche quella istintiva che automatizza il riconoscimento delle funzioni. Nel lavoro di Davide D’Elia la specificità iconica degli oggetti cede morbidamente la propria integrità con il passare del tempo: gli assemblaggi e le stratificazioni che ne derivano aprono altre letture in cui la forma si combina con la dimensione intangibile del tempo, vero protagonista dell’opera, causa e testimone della frangibilità delle cose. Le opere di Serena Fineschi appaiono segnate da una forte volontà di plasmare la materia e interferire con la loro funzione originaria. Implicando in realtà una perdita di controllo dell’artista sull’esito, il processo di Fineschi si svolge come una sequenza di aperture attraverso le quali le forme passano in una nuova condizione, con nuove coordinate rispetto alla loro interpretazione. Laura Pugno sottopone l’osservatore a una continua interrogazione sull’identità delle cose, sull’attendibilità dei sensi in contrasto con l’intelletto. La semplice sostituzione dell’esperienza tattile a quella visiva, che tradizionalmente domina la conoscibilità della forma, viene impiegata come strumento di apprendimento interno al processo creativo e come esito di una elaborazione sensoriale e intellettuale. L’intervento di Alessandro Valeri, coerente con la varietà della sua ricerca, insiste sulla natura ambigua del rapporto tra ciò che vediamo e il nome che gli conferiamo. Evocando la tautologia della tradizione concettuale, di cui utilizza anche materiali e dispositivi, Valeri mette in dubbio la realtà nominale delle cose e la porta all’estremo punto di resistenza, dove si sfalda la stabilità degli oggetti. Emanuele Becheri e Grunewald forniscono una ideale colonna sonora alla mostra. Il video è l’esito di una improvvisazione musicale sul film Ballet mecanique di Fernand Leger, del 1924, realizzata alla galleria RitaUrso Gallery di Milano nel 2014, che segna la nascita della supremazia degli oggetti (ma anche la loro inerzia che dichiara una consistente fallibilità) nella rappresentazione del mondo. Tutte queste opere, con la loro dichiarata fallibilità, con la caduta del controllo, sezionano la natura dell’oggetto, che viene scomposto e modificato. Eludendo ogni tentativo di finitezza, l’oggetto passato attraverso l’arte cessa di garantire con la propria solida razionalità i confini dell’identità e del desiderio. Le opere rappresentano quindi le tappe di una sperimentazione del possibile, apparizioni che punteggiano lo spazio come inganni o come errori, come situazioni aperte, con un elemento comune nella condensazione di dimensioni tra loro apparentemente inconciliabili (nello spazio, nel tempo, nella tassonomia del visibile).
| Disegno su carta | Stampa fotografica con disegno, 30 x 45 cm, tiratura unica | Stampa fotografica con inserti, 30 x 45 cm, tiratura unica | Stampa fotografica, 30 x 45 cm, tiratura 1/3 | Ex Atelier Corradi, Bologna |