Abitare l’emergenzaABITARE L’EMERGENZA. IMMAGINE E RESPONSABILITÀ SOCIALE Azzurra Immediato ‘La genesi intersoggettiva della prassi [architettonica] nasce anche nel riconoscersi unita nel territorio e nel dare a questo un significato preciso. […] Andrea Mariotti, 1978 in Gramsci e l’architettura e altri scritti
Azzurra Immediato
Emergenza. Dal latino Ē-MERGĔRE. Affioramento di qualcosa che viene a galla od anche circostanza imprevista. Abitare. Dal latino HĂBĬTĀRE , frequentativo di HĂBĒRE, con il senso di ‘continuare ad avere’, aver consuetudine d’un luogo, dimorarvi. Cosa significa, dunque, ABITARE L’EMERGENZA? Aver riscritto la mappatura convenzionale del vivere sociale, aver svelato, portato in superficie, qualcosa che, troppo spesso è rimasto obliato. Ma cosa, in particolare? Abitare l’Emergenza è riscrittura dello spazio, quello che già conosciamo e talvolta non sappiamo – più – osservare. Il tentativo è affidato all’arte, tale tema è indagato da fotografi e artisti, interpreti o traduttori di un focus attuale seppur senza tempo: Silvia Camporesi, Camilla Casadei Maldini, Luca Capuano, Allegra Martin e Alessandro Imbriaco; mediante le proprie visioni e le proiezioni – scritte e proiettate attraverso la fotografia – rappresentano lo sguardo principe di ABITARE L’EMERGENZA. IMMAGINE E RESPONSABILITÀ SOCIALE. Le loro narrazioni immaginifiche, seppur sostanza estrema di un reale tangibile, segnano, all’interno del Padiglione de L’Esprit Nouveau, una inusuale cartografia in grado di indagare, secondo abbecedari plurimi, quanto e-merge e si manifesta dalla logica dell’abitare in condizione emergenziale, intesa come insistenza di riflessione e scrittura fotografica di un modus vivendi imprevisto ma forse non imprevedibile. Tale accadimento, di matrice sociale, storica, civica, urbanistica ed architettonica, affonda le sue radici proprio laddove l’occhio principe dei fotografi scorge e accorre in aiuto, al fine di mostrare una prospettiva ed una pars costruens inattese e di nuova e doverosa emersione, in chiave proto progettuale e meta reale, come volano simbolico e funzionale per l’architettura del futuro. Una mappa quella che gli artisti hanno realizzato all’interno degli spazi progettati da Le Corbusier, in un dissonante ossimoro visivo e metaforico, nel quale non è difficile perdersi e, per questo motivo, è ancor più fondamentale ritrovare quel filo che il primo architetto del mito, Dedalo, ebbe a originare per una ‘Archi-Testura’. Silvia Camporesi accoglie i visitatori in un viaggio di memoria con Planasia, racconto su Pianosa, l’isola che fu carcere, oggi dismesso eppure in continua reminiscenza. L’intera piccola isola, quasi del tutto abbandonata, è frutto di una diarchia sempiterna. Luca Capuano, in una ricerca a quattro mani con Camilla Casadei Maldini, delinea una tessitura di confine a partire da Voyage data recording, arazzo che trasfigura i dati delle scatole nere di navi ONG del Mediterraneo volti a perimetrare quei confini invisibili ma creduti inviolabili di nuove odissee umane e sociali, in cui abitare è solo desiderio distante, mentre vivere su una sponda segna incontrovertibilmente la fortuna d’una esistenza corale. Fortuna che pare far disarmonica rima con Residence Futuro, progetto in cui costruzione e decostruzione, in relazione con le sorti umane, originano inattesi legami. Un hotel trasformatosi in centro d’accoglienza per rifugiati di guerra rivela, mediante il valore di simboli e delle loro nuove significazioni, quanto memoria, profezia e responsabilità entrino a far parte dell’umano vivere in maniera improvvisa, con fragore o perturbante silenzio. Ogni elemento concorre a far deragliare certezze, coinvolgendo frammenti inenarrati, al contempo vicini e lontani da noi. Può un hotel divenire luogo di fuga e riparo? Qual è il limen che stabilisce la differenza tra sorte ed emergenza? È forse la medesima soglia che esiste tra emergenza e memoria? È la prima ad abitare la seconda, o il contrario? Nelle stanze di Le Corbusier, Luca Capuano ripone tracce che giungono da un passato mai divenuto futuro, come mostrano gli scatti di Archivio storico Librino, incursione nel progetto di Kenzo Tange ideato per il quartiere catanese di Librino, sulla spinta internazionalista del tempo in cui Catania era considerata la città polare per il Sud. Librino, progettato come quartiere satellite, d’avanguardia, autonomo e metropolitano negli anni Sessanta del ‘900, non ha mai espresso le sue potenzialità progettuali per una serie di limiti intrinseci al territorio e alla politica, mutando il sobborgo in un intrico di superfetazioni abusive e occupazioni tese al degrado. Oggi ne resta una memoria inespressa, un abbandono tangibile, dove hanno trovato humus la criminalità, ma anche una rinnovata attenzione afferente a questi ultimi anni.Capuano, così, raccordando l’idea immaginifica di Tange e l’urto devastante con il reale, restituisce una inedita forma archivistica, in cui desiderio e urgenza vivono sotto la coltre di obnubilate coscienze e di invisibili vite.Ciò che è rifugio finisce per diventare luogo di dramma e laddove ciò appare disagio soggettivo, inesorabilmente, invero, diviene emergenza collettiva. È responsabilità sociale dell’architettura ridefinire i prodromi di una impellente necessità di edificazione del futuro, allorquando il fallimento ha designato perimetri apparentemente invalicabili.È, inoltre, anche una questione di tempo? Che passa, fugge, non è mai abbastanza? È questione di visioni e pre_visioni? E se, invece, l’architettura dovesse rispondere anche di un trascorrere temporale che non le appartiene per statuto ma che, al contrario, le si affibbia per differenti motivi? Attendere è una questione emergenziale? Allegra Martin e il suo progetto L’attesa, narrano di quell’infinito ed inesorabile trascorrere fatuo del tempo nella città de L’Aquila e nelle zone colpite dal disastroso terremoto del 2009. Lì ancora tutto è immobile, ogni promessa di ricostruzione si è scontrata con il malcostume degli affari politici ed imprenditoriali e, d’improvviso, un’intera terra continua a tremare impercettibilmente, negli occhi, nei gesti e negli oggetti che l’artista ha incontrato anni dopo. La narrazione procede attraverso uno svelamento mnestico, volto a raccontare il vuoto e la sospensione che hanno trafitto la vita ordinaria a causa di un avvenimento straordinario, tale da gettare una popolazione nello stato perenne d’emergenza. Cosa resta della vita negata dal terremoto? Cosa resta dei desiderata del futuro? Polvere, detriti, illusioni e delusioni, trattati da Allegra Martin con il rispetto che meritano e, sinora, deliberatamente distrutto. ABITARE L’EMERGENZA. IMMAGINE E RESPONSABILITÀ SOCIALE non è semplicemente una mostra in un luogo emblema per la Storia dell’Architettura, è un racconto corale che imbriglia attraverso l’obiettivo fotografico i limiti e la non conforme poesia di ciò che chiede d’esser visto per non esser dimenticato. Non si tratta di uno sguardo compassionevole bensì di un atlante, fondante e fondativo, che dialoga in foggia differente con l’idea di una architettura eterna, di un diritto assodato, di un luogo, casa, sempre più miraggio che certezza. Ogni artista, nel proprio lungimirante indagare il mondo, ha reso atto scrittorio il fascino degli opposti, celato nella infinita serie di possibilità che solo una diarchia sa offrire; e sino a che, in quell’immenso mare di variabili, ci si ritrova ad esser non alla deriva, bensì con qualche consapevolezza in più, ecco che l’emergenza, solo così, può tramutarsi in opportunità, per una ri-edificazione del futuro. | Anderson shelter | Hotel Futuro | Voyage data recording-Ricamo su tela | Librino, Archivio Kenzo Tange | Esposizione Esprit Nouveau, Bologna, 2023 | Voyage data recordin |